Europa nonostante tutto by AA.VV
autore:AA.VV. [AA.VV.]
La lingua: ita
Format: epub
editore: La nave di Teseo
pubblicato: 2019-03-27T23:00:00+00:00
Alle imprese serve un’Europa dinamica, più giusta e integrata
di Antonio Calabrò
1. Perché l’Europa è in crisi di produttività e l’Italia in recessione
L’Europa cresce poco, rispetto alle altre grandi aree economiche del mondo. Nel decennio 2008-2018, dall’inizio della grande crisi all’avvio d’una fragile ripresa, il PIL dell’area euro è cresciuto dell’8% appena, contro il 19,2% degli USA e addirittura il 114,5% della Cina, con una media mondiale del 40,1% (dati del Fondo monetario internazionale, FMI). E su quell’8% europeo pesa la debolissima condizione dell’Italia, la terza economia dell’area euro dopo Germania e Francia, l’ottava economia del mondo (PIL nominale in dollari, secondo il FMI), segnata da una lunga serie di negatività, con un buon 1,6% del 2017 ma uno 0,9% del 2018, aggravato dagli ultimi due trimestri di recessione, con un andamento negativo che si trascina anche nel 2019, previsto tendenzialmente a crescita zero o poco più (0,2%, stima preoccupata la Commissione europea). Le previsioni della Commissione per il 2019 parlano di una crescita europea dell’1,3%, con un taglio di 0,6 punti rispetto alle previsioni precedenti: effetto delle turbolenze commerciali internazionali (tra USA e Cina soprattutto) ma anche delle tensioni politiche interne all’Europa e nei singoli Paesi. Fattori congiunturali negativi, che si sommano a un quadro di crisi strutturale, con cui l’Europa deve imparare a fare meglio i conti.
Perché dunque, al netto delle incertezze dei tempi più recenti, una crescita così bassa da parte di un continente comunque ricco, industrializzato, forte di 500 milioni di abitanti abituati a un alto e sofisticato livello di consumi (29 mila euro di PIL pro capite), caratterizzato da una robusta e diffusa “cultura politecnica” (sintesi originale di saperi umanistici e competenze scientifiche) e da un qualificato sistema di welfare, sia pubblico sia aziendale, che smussa e ammorbidisce le asperità della competizione economica?
Una spiegazione sta in quello che l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) chiama il “paradosso dell’era digitale” e cioè quel fenomeno per cui siamo sempre più tecnologici, ma anche meno produttivi. Viviamo coinvolti da continue innovazioni che investono sistemi di produzione e servizi della new economy, e che stanno radicalmente cambiando i nostri modi di lavorare, vivere, consumare, comunicare. Eppure la produttività (e cioè, in sintesi, quanto produciamo per ogni ora lavorata) rallenta. E la crescita delle aree più industrializzate del mondo è sempre meno impetuosa. Recenti dati OCSE, appunto, dicono che fra il 1970 e la fine del Novecento la produttività aumentava tra l’1,5 e il 2,5% all’anno: innovazioni, nuove macchine, il boom dell’informatica. Poi, proprio in contemporanea con la diffusione dell’economia digitale, ecco una frenata della crescita. Adesso dati aggiornati stimano, nella media 2007-2017, un rallentamento, proprio negli USA, patria dell’innovazione hi-tech, all’1%, per la prima volta in trent’anni. In Germania, la locomotiva industriale europea, dalla crescita della produttività dell’1,9% negli anni ottanta si è passati allo 0,8% della media del decennio 2007-2017. Tendenza analoga anche in Corea, dal 6,6 al 3,18%, sempre nei periodi considerati.
E l’Italia? Sul versante della produttività, il Paese racconta una storia particolare, negativa. Perché, pur in un quadro generale di rallentamento e di crisi, da noi va peggio che altrove.
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